venerdì 1 ottobre 2010

LA SALUTE VIENE UNGENDO

A Parigi nell’ottobre 2003 nella sua XXIII Conferenza Generale, l’Unesco dichiara la Dieta Mediterranea “Patrimonio dell’Umanità”,su proposta del nostro Ministero delle Politiche Agricole. Su di essa si è detto tutto e di più ma forse vale la pena dare qualche numero. I prodotti agricoli del Mediterraneo sono circa il 40 % di tutto quello che si mangia in Europa e valgono 120 miliardi di euro. Ora con la fantasia prendiamo il volo e immaginiamo di vedere tutti gli ulivi del mondo ai nostri piedi: sono 900 milioni di piante e 750 milioni stanno tutte intorno al Mediterraneo. Solo in Italia ce ne sono 225 milioni, 1\3 di tutto il Mediterraneo, estesi su 1 milione e 200 mila ettari e le olive vengono frante da 5.800 frantoi. Un bel panorama vero ? Non ho dato i numeri per il lotto ma per mostrarvi la dimensione di quanto siamo fortunati. Se ad Ancel Benjamin Keys, medico americano vissuto in Italia fino al 2004, si deve la divulgazione dei benefici della Dieta Mediterranea, alla nostra ignavia si deve il consumo di milioni di pasti in mense aziendali, scolastiche, ospedaliere e di centinaia di milioni di merendine, brioches, patatine, stuzzichini, tutti a base dei cosi detto “oli vegetali”. Provate a leggere su un pacchetto di biscotti o di dolcetti o di patatine con che è stato cucinato, condito, fritto quel prodotto: olio vegetale. Lo mangiano i nostri ammalati in ospedale, i nostri bambini all’asilo e i manager in azienda. Ma cosa sono i grassi vegetali ? Grassi naturali ottenuti da vegetali, certo. C’è questa insana idea che tutto quello che è naturale sia buono e faccia bene. Anche il cancro è naturale me non mi pare che faccia tanto bene, anche uno streptococco è naturale ma ci da 40 di febbre, anche l’amanita phalloides è naturale, ma ti stende con 1 grammo solo. Questi grassi vegetali vengono idrogenati e a vederli sono come la maionese. Fanno malissimo e sono l’ anticamera di infarto, ictus e ipertensione, quando va bene. Pendete l’ abitudine di ungere tutto quello che mangiate e mangiate tutto quello che va unto. Ecco cosa ungere: insalata, pinzimonio, carne o pesce alla griglia, pasta e poi zuppe e pane, ma tutto va unto con olio almeno extra vergine. Tutto quello che non dovete condire ve lo hanno condito gli altri e con che immaginatevelo. Ungete il più possibile da soli.
La salute viene ungendo.

Gino Celletti

giovedì 2 settembre 2010

UNO SPOT PER UCCIDERE L'OLIO

Ecco lo spot
Fa dolore vedere come tante risorse per promuovere l’olio in mano alle istituzioni siano state sprecate cosi male quando i nostri produttori d’eccellenza si sacrificano per raggiungere i mercati con i propri modesti mezzi.Uno spot promozionale sbagliato in tutto: nel target (una coppia di fidanzati che a tutto pensano tranne che all’olio; che violenza devono aver fatto loro), nell’abientazione (un ristorante di classe che proprio perché fidanzatini non frequentano affatto), nello stile del luogo (un sarcofago di pietra a vista e tante mummie di contorno), con l’oggetto misterioso “blu” che ha attratto l’attenzione per 29 secondi su 30 (ma chi lo sa che quello è il bicchiere dell’assaggio ufficiale e se anche fosse noto a che doveva servire visto che nessuno lo sa usare ? A nessuno è venuto in mente che la gente poteva rifiutare l’olio proprio perché non sapevano come usare quel bicchiere con quell’olio ?
€ 156.000 sono troppi per uccidere l'olio, ma per fortuna non se ne ricorderà nessuno 
Gino Celletti

domenica 27 giugno 2010

OLIO DA PROFUMERIA

Viva gli eccessi se servono a tutelarci. 5 lustri fa cominciavo a spiegare perché olio “monocultivar” fosse il migliore e come si poteva riconoscere. In Italia crescono 632 varietà di olivi su 1800 del nostro pianete. In gergo si chiamano cultivar e ciascuna di esse da oli con profumi e sapori specifici. E così oggi c’è chi produce monocultivar di Tonda Iblea dal profumo di pomodoro verde, di Frantoio che sa di carciofo foglia, di Coratina con sentori di erba tagliata o di mandorla fresca di alcune varietà liguri e così via. E tutto questo va bene; ma dove sta l’eccesso ? Recentemente in alcuni concorsi, assaggiatori “professionisti” hanno voluto rilevare e premiare oli con aromi impensabili. Il profumo dell’olio deriva della degradazione enzimatica dell’acido linoleico, formando molecole cicliche odorose a 5 e a 6 atomi di carbonio. E’ la cosiddetta LAX o “via delle lipossigenasi”, importante per studiare i meccanismi dell’irrancidimento dell’olio. Ricordo a proposito che un olio extra vergine non deve possedere alcun difetto. I profumi che ho elencato prima sono già stati tutti collegati alla molecola che li ha originati. Il pomodoro all’ esan-1-olo e al 1-penten-3-one, il carciofo al trans-2-esenale, l’erba tagliata al 2,4 esadienale, la mandorla al cis-2-penten-1-olo, il mallo di noce al cis-3-esenile acetato (Servili e altri); quindi tutti questi aromi sono strettamente legati all’evoluzione dell’olio e sono legittimati ad essere rilevati durante l’assaggio. Ma alcuni aromi come il basilico, il rosmarino, il peperone verde non lo sono, perchè non hanno alcun legame, nè di origine, nè di evoluzione biochimica, con alcuna sostanza contenuta nelle olive o nell’olio delle olive ed ecco qui l’eccesso. L’aroma del basilico è dato dal linalolo, famiglia dei sesquiterpeni che nulla ha in comune con l’olio delle olive. Hanno detto che le olive erano state raccolte con cesti che aveva ospitato il basilico; davvero commovente ! L’aroma di rosmarino viene dal cineolo della famiglia delle confore, e senza essere chimici, già si capisce al volo come tale prodotto non possa dare aroma all’olio naturalmente. Il peperone verde infine è dato da una metossipirazina (3-isopropil-2-metossipirazina), un altro terpene. Si tratta dunque di aromatizzazioni artificiali. Ma perché le fanno ? Per vincere un concorso, per strabiliare l’assaggiatore, per arrivare al cuore del consumatore ? Per tutto questo, ma sorge un dubbio: chi ci tutela da oli che puzzano di pipì di gatto per le fermentazione dell’ammasso di tonnellate di olive o dai rancidi di un olio vecchio senza più antiossidanti così frequenti in commercio ?
Ma gli oli da Profumeria, ovvio, che fanno meditare e scuotono le coscienze ! 
Gino Celletti
 

lunedì 3 maggio 2010

L’ACQUA DELLA GIOVINEZZA

Sarebbe bello poterla comprare al supermercato come l’acqua minerale vero ?
Ma è bello ed è soprattutto possibile. Quest’acqua esiste e con pochissimi soldi “potrebbe”, nel prossimo mezzo secolo, allungare la vita di 30-40 anni, ridurre il cancro e le malattie cardiovascolari e aiutare l’ambiente. Uso il condizionale perché guarda caso  manca appunto una condizione. Manca la volontà di farlo. Le responsabilità sono molteplici e per capirle basta usare la logica di Medea nella tragedia di Sofocle:  cui prodest ? ” Ma al contrario, cioè “cui non prodest ? ”. E a chi non gioverebbe quest’acqua della salute ? La risposta più avanti; adesso vediamo di che acqua si tratta. Le olive, nei piccoli vacuoli della polpa, contengono sia oleuropeina che trigliceridi e tutto intorno ad essi c’è acqua mista ad enzimi. Quando schiacciamo le olive, il contenuto dei vacuoli va a contatto con acqua ed enzimi, grazie alla gramolazione, specie di impasto a 24° gradi per 30 minuti che i frantoiani fanno per ottenere  l’olio. Dunque dimentichiamoci quella informazione televisiva che fa credere che basti spremere le olive con le mani per ottenere l’olio, come si fa per un’aranciata; magari fosse così semplice e visto che stiamo ripulendo la memoria da false informazioni, eliminiamo anche un altro luogo comune, quello della “spremitura a freddo”: gli enzimi dell’olio sono simili a quelli del nostro corpo che ha una temperatura normale di circa 36,5°C; se non facciamo lavorare gli enzimi almeno a 24°C non avremo una goccia di olio e a 24° C non fa “freddo” ma si fa il bagno ! Ma torniamo agli enzimi delle olive ed in particolare alle glicosidasi. Essi sono gli artefici della produzione dei polifenoli detti anche “antiossidanti”, grazie alla  disgregazione dell’oleuropeina, quella sostanza amara che si apprezza mordendo un’oliva fresca. E’ è noto che i polifenoli  sono “antiossidanti” perché catturano l’ossigeno e preservano le cellule umane dall’ossidazione e quindi dall’invecchiamento. Non tutti sanno però che i polifenoli che alla fine restano nell’olio sono meno del 3 % di tutta la quantità prodotta. Quando le acque di vegetazione vengono separate dall’olio, si portano via il 97 % dei polifenoli che sono “idrosolubili”, e così vengono persi irrimediabilmente o inquinando l’ambiente o degradati batteriologicamente a costi enormi. Sebbene dunque essi siamo una grande risorsa per la salute umana, il consumatore non ne può disporre per quanto la natura gliene concede. E siamo arrivati al nodo. E’ stato calcolato che circa il 50 % dei polifenoli si può recuperare a costi bassissimi ed il rimanente con costi sostenibili. Lo hanno accertato  organizzazioni governative come l’ENEA e private come CreAgri, brevettandone metodo di recupero in Italia e marchi di commercializzazione negli USA. Ora tentiamo di dare la risposta che abbiamo lasciato in sospeso prima. A chi non gioverebbe avere una tale fonte di gioventù a così basso costo ?  Fare l’elenco è pericoloso; in troppi sono più interessati alla malattia che al malato, alla vecchiaia che al vecchio compresi i nuclei familiari, dove l’allungamento della vita potrebbe sconvolgere, sociologicamente parlando, l’avvicendamento alla guida delle famiglie stesse con 20-30 anni di ritardo. Per il momento dunque meglio accontentarsi di sapere che la natura ci ha fornito lo strumento per vivere più a lungo, anche perché  poi l’uomo dovrebbe chiedersi come utilizzarlo al meglio. 
Gino Celletti

domenica 4 aprile 2010

ASPETTANDO GODOT

Non so se Samuel Beckett, quando scrisse nel 1952 “Aspettando Godot”, fosse a conoscenza della situazione in cui versa l’Olio Italiano: sta di fatto che la sua “tracicommedia”, basata tutta sull’attesa, ci va a pennello. Le elezioni regionali 2010 sono appena passate e al momento in cui scrivo non sappiamo ancora chi sarà il nuovo Ministro dell’Agricoltura. Pochi ripongono speranze nel nuovo, molti non ne ripongono affatto, ma quasi tutti aspettano qualcuno che tolga loro le castagne dal fuoco. In Agricoltura il panorama dei comportamenti offre da tempo la stessa vista, ma quello dell’attendismo svetta su tutti gli altri. Il piangersi addosso dei due personaggi di Beckett, Didi e Gogo, in attesa di un amico che non arriverà mai, è analogo allo stato di commiserazione che porta, attraverso l’ associazionismo, alla speculazione nel mondo dell’olio, proprio come nel dramma bechettiano, dove, con sommo piacere, il rude Pozzo tiene al guinzaglio il servo Lucky. Il piagnisteo di chi è costretto a vendere olio italiano a € 1,80 attraversa l’Italia da Nord a Sud e dall’Adriatico al Tirreno. Ma di chi è la colpa se esiste una speculazione che svacca il prezzo così ? La risposta è semplice, documentata, inequivocabile ,e anche se fa male, va detta. La colpa è solo dei produttori, più o meno associati. Se ti chiedono Olio Extra Vergine a € 1,80 e tu glielo dai, la colpa è tua. Se il prezzo non è congruo, allora la transazione non s’ha da fare. Se l’Olio delle Olive ha un valore commerciale, salutare, nutritivo, turistico, territoriale, occupazionale ed etico ma non gli viene attribuito nemmeno da chi lo produce, perché glielo dovrebbe dare il consumatore o peggio lo speculatore ?  I 7 aggettivi che mi sono venuti in mente di getto indicano solo alcuni obiettivi che il produttore oleicolo ha nel tempo colpevolmente ignorato, trascurato se non addirittura disconosciuto. Forse ha demandato troppo ad altri ? Viene facile il paragone con il vino che però ha saputo cogliere il momento della svolta, rivolgendosi al consumatore in modo diverso dagli gli anni ’50 e il confronto diventa implacabile con il vino francese aggravando ancor più le responsabilità degli olivicoltori nostrani. I viticultori non hanno aspettato le grazie di nessuno per sterzare decisamente ed imboccare una nuova strada; da soli hanno sconfitto le vecchie abitudini produttive anche con liti furibonde tra padri conservatori e figli innovatori, da soli hanno vinto lo “tzunami  metanolo”, da soli hanno vinto l’ignoranza del consumatore che sceglieva il vino solo con il colore e sempre da soli hanno conquistato il mercato femminile con prodotti adeguati. E dunque posto che la materia grigia sia equamente distribuita tra produttori di vino e di olio e ora che i secondi si diano una svegliatina. Consiglio di riporre meno speranza nel sonnifero del sistema associativo che seppur utile non può (e non deve) elaborare strategie personalizzate per ciascuna azienda, consiglio di navigare un po’ più su internet per vedere cosa stanno facendo gli altri, Spagnoli e Cileni per esempio, come singoli e come paese, propongo di fare gruppo non solo per le tutele sindacali ma per promozioni di marketing  che abbiano valore contrattuale verso il mercato e da ultimo esorto tutti a non accettare i ricatti dei prezzi vergognosi. I produttori francesi hanno inondato le strade di vino e latte piuttosto che inondare le loro terre con le loro lacrime. Occorre usare le leve del marketing, gestire l’Olio come lo Champagne, le Ferrari, gli Hatteras, i Rolex e non più come un alimento. Pensiamo al pane: sembra un alimento essenziale come l’olio, eppure quanti formati ne esistono in commercio ? Come mai il consumatore di pane non si accontenta del “pane standard” ma ne richiede e ne compra in Italia più di 200 formati ed un migliaio nel mondo ? Perché chi produce pane ha sviluppato il proprio prodotto non più per placare la fame ma per dare  un “servizio”, ha voluto soddisfare le esigenze, ha motivato, ha incuriosito, ha insomma fatto marketing. E l’olio che offre ? L’ Extra vergine, il Biologico, il 100% italiano. E tutte le associazioni oleicole  offrono le stese 3 cose. Tutto qui ?  Con tutti quei soldi che arrivano dalla Comunità Europea ? Basta piangere sull’Olio Versato; ne è stato sprecato anche troppo e Aspettando Godot, se ne sprecherà ancora. 
Gino Celletti

domenica 28 febbraio 2010

PER L'ULIVO IL FUTURO E' PASSATO

E’ in atto una disputa strategica tra due generazioni per opposti interessi e ragionamenti. I “vecchi” mirano al moderno al futuro ed i “giovani” vanno dritti al passato, al consolidato, al ragionato, al sicuro. Avrete già capito dall’enfasi che parteggio per i giovani anche se anagraficamente lo sono stato fino a poco fa. Parteggio per loro perché credo di aver conservato ancora un po’ del mio intelletto e, nel chiedervi di associarvi a me, vi spiego di che si tratta. Personaggi consumati sostengono che passare dalla coltivazione tradizionale dell’Olea Europaea con 200/300 piante/ettaro a piantagioni superintensive, a 2000 piante/ettaro, salverà la nostra olivicoltura. I giovani vogliono invece il ritorno al passato, un sesto di impianto 5x5 o 6x6 con al massimo 300 piante/ettaro e cultivar tipiche dei territori, insomma niente arbequine e arbosane spagnole, ma quelle toste cultivar dei padri e dei nonni come moraiolo, coratina, bosana, frantoio e via dicendo. I primi dicono che Spagna, California, Marocco, Australia hanno già scelto la “superintensiva” e se non ci adegueremo, ci fagociteranno per l’efficienza, per i costi più bassi e per il prodotto omologato e riconoscibile da tutti. I giovani illuminati invece sostengono, carte alla mano, che le coltivazioni superintensive si comportano come tali, cioè producano “tanto”, solo nei primi 10 anni, poi tornano ad avere il comportamento tradizionale con una serie di problemi in più, come potatura, invecchiamento precoce e reimpianto, per cui i costi salgono vertiginosamente da far rimpiangere amaramente questa scelta. Inoltre sostengono che le cultivar italiane sono “signore sofisticate ed abitudinarie ”che non accettano di modificare il loro portamento a vaso policonico per diventare tanti alberelli di Natale a vaso cespugliato. Dicono anche che i costi di produzione dell’olio in una superintensiva nordafricana sono di € 2,5 /litro contro i € 3,0/litro di una superintensiva italiana; ma allora che convenienza c’è a vendere un’arbequina italiana a questo prezzo ? Dunque hanno ragione loro, ma c’è un altro grande vantaggio nell’allevare come una volta. E’ il sistema prediletto dalle cultivar italiane che rifiutano il sistema intensivo. Le varietà italiane, ricercate in tutto il mondo, danno oli con profumi e sapori non riscontrabili negli oli delle varietà allevate con il metodo intensivo. Il loro contenuto in Polifenoli poi è spesso anche 10 volte superiore e il valore di mercato è immenso. Lo sanno bene i produttori italiani cosiddetti di nicchia che vendono sempre tutto l’olio dell’annata , spesso addirittura in prenotazione. E poi diamo un valore a questa cosiddetta “nicchia” che non è poi così piccola. Ogni anno l’Italia colloca sul mercato nazionale ed internazionale oltre 200 mila tonnellate di questo “oro verde di nicchia” su 700 mila tonnellate totali. E’il 28 % della produzione nazionale , altro che nicchia ! I calcoli dei vecchi furboni sono sbagliati e nascondono il vero male dell’ olivicoltura nostrana. In Umbria dicono che “con troppi galli a cantare non si fa mai giorno”.  Troppe chiacchiere, pochi fatti e come si vede di chiacchiere c’è chi ne vuole fare ancora. Non c’è un sistema Italia che sappia vendere l’olio e i vecchi al comando non se ne voglio procurare uno. La vendita dell’olio italiano di qualità è affidato alla genialità e alla straordinaria vitalità di produttori tutti giovanissimi, che montano in macchina e fanno migliaia di chilometri l’anno per informare e vendere l’olio, da soli. Vendono perché il loro olio è superbo, le loro piante, fotografate come star, ricevono cure amorevoli dedicate in oliveti radi e ben curati e i loro Clienti non hanno l’anello al naso. Per la frittura della mensa aziendale va bene anche l’olio da superintensiva ma per l’olio di casa … si torna al passato.  
Gino Celletti  
            

venerdì 29 gennaio 2010

IL BOLLINO “COSCIENZA BIOLOGICA”

Il bollino blu e giallo che certifica un prodotto “biologico” ci rasserena, ci tranquillizza, ci coccola. Ci dice che qualcuno ha pensato alla nostra salute, che siamo fuori pericolo, così ci sentiamo deresponsabilizzati e assolti per le offese che procuriamo “incosciamente” all’ambiente. Ma attenzione, il concetto “biologico” del bollino giallo e blu non è universale come ci piacerebbe che fosse, ma limitato a norme precise e a situazioni specifiche e non ci tutela per il futuro. La normativa dell’Agricoltura Biologica e quindi dell’Olio Biologico è descritta dal Regolamento CEE n. 2092/91 e dal Regolamento CEE 834/07. In breve le Aziende non devono usare prodotti chimici di sintesi, le concimazioni devono essere fatte con prodotti organici animali e il diserbo con mezzi meccanici (trattori) o fisici (a mano). La lotta ai parassiti va fatta solo con prodotti naturali descritti nell’allegato II parte B del Regolamento sopra (poltiglia bordolese, trappole meccaniche, microrganismi per lotta biologica). Per la conversione di un terreno a coltura biologica occorre attendere 3 anni senza che lo stesso sia stato più trattato con prodotti non consentiti, (come se così facendo, dopo 3 anni, il terreno potesse riacquistare la verginità iniziale). La molitura del olive biologiche va fatta in frantoi accreditati, la linea di imbottigliamento  del biologico deve essere separata dall’altro olio e i suoi contenitori  devono essere ben contraddistinti. Inoltre Organismi riconosciuti dal Ministero delle Politiche Agricole dovranno certificare l’origine delle olive e tutte le fasi di produzione e commercializzazione. Tutto bene verrebbe da dire, si certo ma  anche tutto inutile. Inutile perché l’ Ulivo, quando è preda di attacchi biologici indesiderati (oidio, occhio di pavone, fumaggine) e di attacchi chimici, (piogge acide,  acqua di irrigazione con ph anomalo), provvede da solo ad auto-purificarsi magari perdendo foglie e frutti o attivando la partenogenesi con formazione di frutti deformati e minuscoli che non arrivano all’allegagione. Ma inutile soprattutto perché quel pezzo di terra ritenuto “biologico”, per esserlo totalmente, dovrebbe essere stato protetto, verso il cielo, con una cappa di vetro dai venti che trasportano gli inquinanti e, nel sottosuolo, con una cappa di acciaio per isolarlo e proteggerlo dalla micro irrigazione. Spiego meglio: ogni anno tutte le anguille del mondo si riuniscono nel Mar dei Sargassi per procreare e quando dico tutte includo anche quelle del Naviglio di Milano o dei canali di irrigazione del Sichuan, perché il richiamo amoroso è universale e fortissimo e non fa distinzione tra anguille milanesi o cinesi. Ora dove passano le anguille passano anche gli inquinanti chimici. Questa riflessione ci fa capire quanto inutile sia attuare il regolamento CEE 2092/91 se poi tutti noi non attuiamo in noi stessi il concetto di tutela biologica e non smettiamo di demandare ad altri la salute del nostro ambiente. Il bollino che certifica l’ “olio biologico” va benissimo, ma dobbiamo pensare anche ad un altro bollino, più intimo, più etico e molto più utile, quello che certifichi la “coscienza biologica” di ciascuno di noi, quel bollino sarà l’unica chance per non trasformare definitivamente la Terra nel Secchio dell’Immondizia.
Gino Celletti