domenica 28 febbraio 2010

PER L'ULIVO IL FUTURO E' PASSATO

E’ in atto una disputa strategica tra due generazioni per opposti interessi e ragionamenti. I “vecchi” mirano al moderno al futuro ed i “giovani” vanno dritti al passato, al consolidato, al ragionato, al sicuro. Avrete già capito dall’enfasi che parteggio per i giovani anche se anagraficamente lo sono stato fino a poco fa. Parteggio per loro perché credo di aver conservato ancora un po’ del mio intelletto e, nel chiedervi di associarvi a me, vi spiego di che si tratta. Personaggi consumati sostengono che passare dalla coltivazione tradizionale dell’Olea Europaea con 200/300 piante/ettaro a piantagioni superintensive, a 2000 piante/ettaro, salverà la nostra olivicoltura. I giovani vogliono invece il ritorno al passato, un sesto di impianto 5x5 o 6x6 con al massimo 300 piante/ettaro e cultivar tipiche dei territori, insomma niente arbequine e arbosane spagnole, ma quelle toste cultivar dei padri e dei nonni come moraiolo, coratina, bosana, frantoio e via dicendo. I primi dicono che Spagna, California, Marocco, Australia hanno già scelto la “superintensiva” e se non ci adegueremo, ci fagociteranno per l’efficienza, per i costi più bassi e per il prodotto omologato e riconoscibile da tutti. I giovani illuminati invece sostengono, carte alla mano, che le coltivazioni superintensive si comportano come tali, cioè producano “tanto”, solo nei primi 10 anni, poi tornano ad avere il comportamento tradizionale con una serie di problemi in più, come potatura, invecchiamento precoce e reimpianto, per cui i costi salgono vertiginosamente da far rimpiangere amaramente questa scelta. Inoltre sostengono che le cultivar italiane sono “signore sofisticate ed abitudinarie ”che non accettano di modificare il loro portamento a vaso policonico per diventare tanti alberelli di Natale a vaso cespugliato. Dicono anche che i costi di produzione dell’olio in una superintensiva nordafricana sono di € 2,5 /litro contro i € 3,0/litro di una superintensiva italiana; ma allora che convenienza c’è a vendere un’arbequina italiana a questo prezzo ? Dunque hanno ragione loro, ma c’è un altro grande vantaggio nell’allevare come una volta. E’ il sistema prediletto dalle cultivar italiane che rifiutano il sistema intensivo. Le varietà italiane, ricercate in tutto il mondo, danno oli con profumi e sapori non riscontrabili negli oli delle varietà allevate con il metodo intensivo. Il loro contenuto in Polifenoli poi è spesso anche 10 volte superiore e il valore di mercato è immenso. Lo sanno bene i produttori italiani cosiddetti di nicchia che vendono sempre tutto l’olio dell’annata , spesso addirittura in prenotazione. E poi diamo un valore a questa cosiddetta “nicchia” che non è poi così piccola. Ogni anno l’Italia colloca sul mercato nazionale ed internazionale oltre 200 mila tonnellate di questo “oro verde di nicchia” su 700 mila tonnellate totali. E’il 28 % della produzione nazionale , altro che nicchia ! I calcoli dei vecchi furboni sono sbagliati e nascondono il vero male dell’ olivicoltura nostrana. In Umbria dicono che “con troppi galli a cantare non si fa mai giorno”.  Troppe chiacchiere, pochi fatti e come si vede di chiacchiere c’è chi ne vuole fare ancora. Non c’è un sistema Italia che sappia vendere l’olio e i vecchi al comando non se ne voglio procurare uno. La vendita dell’olio italiano di qualità è affidato alla genialità e alla straordinaria vitalità di produttori tutti giovanissimi, che montano in macchina e fanno migliaia di chilometri l’anno per informare e vendere l’olio, da soli. Vendono perché il loro olio è superbo, le loro piante, fotografate come star, ricevono cure amorevoli dedicate in oliveti radi e ben curati e i loro Clienti non hanno l’anello al naso. Per la frittura della mensa aziendale va bene anche l’olio da superintensiva ma per l’olio di casa … si torna al passato.  
Gino Celletti