martedì 29 novembre 2011

UMBRIA: OLIVI ARGENTATI ED ECOLOGICI

Se percorrete in un giorno di vento la SS75, da Assisi direzione Spoleto, e guardate il Monte Subasio, scorre alla vostra sinistra, potete ammirare onde successive che lo spettinano e lo ripettinano, con meches d’argento che lo percorrono da destra a sinistra e viceversa, intervallate altre verde cupo.Questi colori argentei sono l’effetto della rifrazione della luce che i peli della parte inferiore delle foglie dell’olivo fanno quando sono colpiti dai raggi luminosi molti inclinati, come appunto nelle giornate nuvolose. La superficie inferiore è, per intenderci, quella dove si trovano gli stomi, quei passaggi che regolano lo scambio gassoso delle foglie con l’esterno, la fase in cui di produce la clorofilla (sintesi clorofilliana) e quella dove si elimina anidride carbonica.La forma di questi peli è simile ad un ombrello rovesciato, senza telo, che a seconda dell’umidità si accorcia o si allunga, proporzionalmente ad essa.È comprensibile adesso capire come mai si sviluppa questa rifrazione luminosa, così caratteristica e tipica degli olivi umbri. La luce, sbattendo contro questi innumerevoli peletti, viene riflessa e rifratta altrove, cioè modifica la sua lunghezza d’onda che intercettata dal nostro occhio viene percepita come colore diverso dal verde originale della fogliaAlcuni studiosi dell’Istituto di Biometeorologia del Cnr di Bologna assegnano poi a questi peli della parte inferiore della foglia d’ulivo anche una sorta si funzione ecologica, in quanto sarebbero capaci di trattenere le polveri sottili, quelle che ogni tanto ci fanno andare in bicicletta.Sembra infatti che per questo motivo si voglia suggerire l’ulivo come pianta ornamentale da città, perché capace di catturare più polveri sottili di quanto altre piante già poste in loco possano fare.Personalmente mi auguro che questo utilizzo dell’Olea Europaea cada nell’oblio e che resti solo un altro pregio inutilizzato di questa pianta. Non so proprio immaginare viali di olivi nel centro di Milano, posto che resistano a questo ambiente nordico. Si io ne ho qui qualche pianta e ho anche visto invaiare le olive ma è pur sempre un vivere in cattività.Corre l’obbligo a questo punto di citare le cultivar che affollano i monti umbri. Il totale delle cultivar in Umbria è 44 (vedi per i dettagli www.monocultivaroliveoil.com), il 50 % di essi è della cultivar MORAIOLO, con punte del 80% nel comprensorio DOP Colli Assisi Spoleto, segue il FRANTOIO  con il 20%, il LECCINO con il 10% e altre varietà come RAJO, DOLCE AGOGIA, S.FELICE (o DRITTA), ASCOLANA TENERA per il rimanente 20%.Sono cultivar decisamente autoctone, con caratteristiche peculiari, che forniscono oli diversi per profumo e gusto, con aromi che vanno dalla mandorla tostata, al carciofo, alla lattuga, amari o dolcissimi per essere abbinati a secondo del piatto
Umbria, una regione oleicola che stupisce sempre.
Gino Celletti

mercoledì 9 novembre 2011

PIACERE O SALUTE ?

Quante volte ci troviamo di fronte a questo dilemma ?Oscar Wilde diceva che le cose che piacciono o sono immorali, o sono illegali o fanno ingrassare.Sull’immoralità e l’illegalità passo e lascio alla morale personale ogni responsabilità, ma sull’ingrassare voglio dire la mia. La dietetica moderna ormai ci ha spiegato chiaramente che oggi dobbiamo assumere “obbligatoriamente” il 15 % di grassi, insieme alle proteine (la bistecca) e ai carboidrati (pasta, pane pizza e verdure). Se questa regola viene infranta, il nostro corpo provvede a smontare e usare i grassi depositati, e se questi sono scarsi, perché oggi il modello è quello delle veline e dei calciatori, il nostro organismo metabolizza quello che trova a portata di mano, cioè proteine e carboidrati. Questo non va bene perché così si formano corpi chetonici e ureici che sono elementi pericolosi di dismetabolismo. Un esempio è l’acetone di neonati. E allora i grassi vanno assunti giornalmente e in quella percentuale. Se mangio 1 kg di cibo, 150 grammi devono essere grassi. E qui sta il punto !  Visto che siamo “condannati“ ad assumere grassi, facciamolo per il piacere e per la salute. Il piacere di un olio perfetto che abbia profumi di pomodoro, mandorla fresca, carciofo, che sia piccantino e amarognolo, è unico ed inimitabile. Quel verso di intingere il pane croccante e fare la scarpetta, o il “pucio” come dicono a Milano, è la via al piacere assoluto, all’estasi di un momento ancestrale, antico e futuro, improbabile con qualsiasi altro cibo. Fare poi un pinzimonio di verdure fresche con più oli monocultivar, dal più dolce per la lattuga ed il cetriolo al più amaro per il radicchio o il cardo, non solo è una piacere sommo e l’espressione di cultura elevata, ma è anche la sintesi della perfetta alimentazione, dal punto di vista dietetico. I contenuti salutistici delle verdure fresche non devo certo riassumerli io, a me tocca evidenziare il contenuto in polifenoli di un olio perfetto, la sua carica di sostanze antiossidanti che rallentano l’invecchiamento cellulare, questo si tocca e me evidenziarlo, ma occorre olio perfetto, profumato piccante di suo e se anche amarognolo è meglio. Arriva Natale: regalate l’olio delle olive e fatelo senza guardare al prezzo. Nell’olio delle olive la qualità si valuta come per i diamanti, più carati più il prezzo è alto.I tempi cambiano e allora cambiamo il nostro atteggiamento quotidiano e lo stile di evidenziare la nostra cultura: piacere e salute possono andare a braccetto con un perfetto olio monocultivar.
Facciamoli incontrare sulla nostra tavola.
Gino Celletti

lunedì 6 giugno 2011

GLI OMEGA-3 DEL VICINO NON SONO SEMPRE PIU’ VERDI

Come mio solito desidero fare chiarezza, se no a che serve scrivere ?  Tutti parlano di “omega-3”, tutto contiene “omega-3” e se non prendiamo giornalmente un bella dose  di “omega-3 “ non siamo nessuno, In ufficio, al bar, dal parrucchiere gli omega-3 scorrono a fiumi, per non parlare delle riviste femminili o di gossip che, se non ne parlano nella loro rubrica medica, non pubblicano il numero. E allora anche noi abbiamo deciso di dire la nostra. Il rappresentante più importante degli “omega-3” è l’acido linolenico (omega, in greco si scrive, maiuscolo cosi Ω e minuscolo così ω, ed è l'ultima lettera dell'alfabeto greco). A questa molecola manca un nonnulla per assomigliare agli grassi più diffusi al mondo; gli mancano rispettivamente: 1 elettrone per essere acido linoleico, 2 elettroni per essere acido oleico e 3 per essere acido stearico (la cera delle candele). Ha una catena di 18 atomi di carbonio e si dice ω-3 perché il primo elettrone gli manca sull’atomo di carbonio numero 3 (18: ω3), si dice ω-6  perché il secondo elettrone gli manca sull’atomo numero 6 (18: ω6) e analogamente si dice ω-9 perché il terzo gli manca sull’atomo  numero 9 (18: ω9). La mancanza di elettroni lo rende liquido e si dice polinsaturo (poli = più volte insaturo), infatti l’acido stearico che ha tutti gli elettroni al posto giusto e non manca di niente è un grasso saturo ed anche solido a temperatura ambiente, (la candela stearica si squaglia solo se brucia). L’acido oleico come abbiamo detto sopra è un omega 9 manca di un solo elettrone e allora si dice monoinsaturo (mono = 1 volta sola). Ma dove voglio arrivare con queste semplici spiegazioni di chimica organica di base ? Voglio spiegare che gli acidi linolenico, linoleico e oleico sono i componenti fondamentali dell’olio delle olive e quindi non dobbiamo andare tanto lontano per fare il pieno di “omega-3”. L’olio delle olive ne contiene circa l’1,5-2%, una quantità discreta per la corretta dieta quotidiana. Ma perché ho citato anche gli altri acidi grassi ? Perché l’assorbimento degli “omega-3”, così utili alla nostra salute, dipende ed è funzionale alla presenza degli altri 2 acidi grassi insaturi: il linoleico e l’oleico. Mi spiego ancora meglio con un esempio gastronomico: gli omega-3 si dice che siano contenuti in abbondanza nel pesce azzurro, nelle acciughe, nelle sardine ecc.; bene se vogliamo fare ilpieno di omega-3 da questi pesci, l’ottimo è un piatto di acciughe con olio extra vergine di oliva, magari con un trito di prezzemolo; così prendiamo “omega-3” da acciughe e olio ma i “carrier” dell’olio   cioè gli omega -6 e omega-9 aiuteranno l’assorbimento degli omega-3. Anche in farmacia sono in vendita pillole di omega-3 ma senza fare tanta strada, non meglio un bel piatto di tonno, fagioli bianchi di Spagna con un trito di cipolle rosse di Tropea ed un giro di olio monocultivar di Olivastra Seggianese che cresce solo sulle pendici del Monte Amiata?
E poi l’erba del vicino oltre ad essere meno buona costa anche di più.
Gino Celletti

lunedì 2 maggio 2011

ARROGANZA CONSAPEVOLE DEL POTERE

Nel numero di aprile scorso lo avevo previsto. Ora ne sono certo. Tutta la panna montata sul Reg CE 61/2011, varato dalla Comunità Europea e che è entrato in vigore 1° aprile 2011, prodotta da giornalisti guru e pseudo-dotti asserviti a logiche di parte, non nasceva dall’ignoranza come ingenuamente avevo ipotizzato ma dall’arroganza consapevole di avere il potere in mano e di poterlo usare sempre e comunque. Potere di fare che, a favore e contro di chi ?  Tralascio di  dire il “peccatore”, sarebbe un elenco che consumerebbe tutto il mio spazio editoriale, ma parlerò volentieri del “peccato” e si capirà il resto. Il Reg CE 61/2011 ha detto basta alla circolazione degli oli deodorati con livelli superiori a 75 mg/kg, (o a 150 mg/kg se gli Esteri Etilici e quelli Metilici sono in un rapporto 1:3). Questi oli provenivano da olive marce e comunque nere e pessime. Insomma questo regolamento, scritto a più mani da Scienziati e Organizzazioni Oleicole, ha messo un paletto concreto alla libera commercializzazione di oliacci da oliva, deodorati, rettificati e di scarsissima utilità salutare. Tu “Consumatore”, se vedi che “qualcuno” si dispera per questa norma che limita per legge la vendita  di porcheria, che pensi ? Pensi che quel “qualcuno” è in mala fede, che è stato toccato nei suoi interessi, che con questa norma non avrà più i vantaggi economici di prima e che in futuro dovrà mettersi in regola e commercializzare, diciamo così… oli un po’ più “extra vergini”, per quanto gli oli industriali possano soddisfare il concetto pieno di queste due parole. Proprio così. Ma come dico nel titolo, il “Potere” vuole avere l’arroganza di cambiare le cose, di mistificarle, di rivoltare la frittata ed usa i classici metodi del potere: “controinformazione”, “veto”, “boicottaggio”, “vessazione” a tutti i livelli anche a quelli micro-territoriali. E’ avvilente come le Autorità non direttamente interessate al mercato dell’olio delle olive, ma preposte alla tutela dei Consumatori, non prendano provvedimenti contro questo andazzo. Che facciano parte anche loro della partita ? Speriamo di no ! Dobbiamo credere di no ! E’ che abbiamo assistito ad atti come il cambiamento di programmi a cui noti scienziati “indipendenti” erano stati chiamati a presenziare, l’annullamento di eventi in cui personaggi “asettici” dovevano dire la loro, biglietti aerei promessi e non più rimborsati per bloccare l’espressione “pulita” di esperti non manipolabili. Tutto ciò serve a lasciare le cose come prima e di conseguenza volendo o nolendo, a garantire, a chi tratta oli discutibili, la libertà di commercializzare porcheria senza doversi preoccupare delle norme appena emanate, anzi con lo scopo sfacciato di aggirarle se non di eliminarle.Chi partecipa a questa triste manovra di delegittimazione del Reg. CE 61/2011, e di chi l’ha concepito, saprà certamente riconoscersi nella mia descrizione e chi invece la subisce, il Produttore di oli davvero “extra vergine”, il Consumatore esigente, le Associazioni Micro-Territoriali, invece dovranno allertarsi e denunciare pubblicamente operazioni promozionali fasulle, guide forvianti e pretendere che si percorra l’unica via utile alla sopravvivenza della Produzione Oleicola Italiana: quella della qualità.Chi fa arrogantemente profitto con oli esteri deodorati, rettificati ed  imbellettati con rossetto per prostitute, non serve all’Italia.
Gino Celletti

domenica 13 marzo 2011

CORAGGIO EUROPA, ADESSO I POLIFENOLI IN ETICHETTA

A fine 2010 qualcuno ha festeggiato il 50° compleanno dell’olio extra vergine, io no. Di quell’olio, nato con la legge 1407 del  13 novembre 1960 e cresciuto con il reg CE  2568/91 io avrei volentieri celebrato il funerale. Nessuno probabilmente più di me ama l’olio delle olive, ma l’ipocrisia non è il mio forte e sono contento di uscire dal coro dei perbenisti. Il motivo è sotto gli occhi di tutti.  Cosa ha portato all’Italia questo cinquantennio ? La fame di nostri coltivatori di olivi e la riduzione delle terre da olio. Come con la legge 1407 di 50 anno fa non si ebbe il coraggio di tagliare corto con i furbi, così oggi non lo si ha il coraggio di ammettere che quelle norme hanno fallito su tutti i fronti. Siamo stati invasi da oliacci rettificati, deodorati, mischiati, tagliati e i produttori italiani, che hanno allevato le nostre 638 cultivar ed hanno prodotto olio sano e buono, oggi dovono competere con oli esteri immessi sul mercato anche a  € 1,99 al litro. Questa è la verità e allora che c’è da festeggiare  e con chi festeggiare ? Chi è stato a Milano il 2 dicembre 2010 lo sa è non sarò io a farne pubblicità.
GLI  ALCHIESTERI
Il 24 gennaio 2011,con il Reg 61/2011,  l’UE ha avuto un sussulto di dignità, guarda caso criticato da quelli che hanno festeggiato il compleanno dell’extra vergine, obbligando, d’ora in poi, a ricercare e ad evidenziare il valore di EEAG (Etil Esteri degli Acidi Grassi) e di MEAG (Metil Esteri degli Acidi Grassi), notoriamente “indici di deodorazione”. Queste sostanze, presenti da sempre negli oli provenienti da coltivazioni con metodo “superintensivo”, con 2000 piante /ha contro le nostre 250-300/ha, si sviluppano perché le olive prima della loro lavorazione industriale, vengono ammassate a montagne e li si sviluppano fermentazioni che gli asaggiatori chiamano “riscaldo” e “avvinato”. Sono puzze maleodoranti che disgustano e che i regolamenti non permettono in un extra vergine e allora serve una potente deodorazione. Perché stracciarsi le vesti se l’Europa si accorge, seppur tardivamente di un errore e tenta di rimediarvi ? Questo sussulto, seppur nato dallo scoppio di  una valvola di troppo pieno, è stato un atto sociale ampio e meritevole che approvo e che spero sia da esempio ad un prossimo che qui sotto voglio suggerire gridandolo.
POLIFENPLI  E CULTIVAR IN ETICHETTA
L’ipocrisia è la malattia contagiosa del nostro secolo, dappertutto si vuole sicurezza alimentare, informazione completa, chiarezza in etichetta, ma poi, quando basterebbero pochi accorgimenti, facciamo come le corna delle lumache, ci ritraiamo dalle nostre responsabilità e guardiamo solo il giardinetto dove poter masticare quel filo d’erba. Ci basta il rischio di perdere un solo filo d’erba e non guardiamo al prato intero che va in malora. Per sapere se quell’olio è italiano, se stiamo dando ai nostri figli gli antiossidanti che allungano la vita e tagliano il cancro, basterebbe che la legge obbligasse a dichiarare da che cultivar è fatto quell’olio e quanti polifenoli contiene. Punto ! Una impresa impossibile ? Ma il vino la fa già da secoli e nonè moro nessuno! Sangiovese e 13°, o Chardonnay e 12,5°. Beh a dire il vero qualcuno nel settore vinicolo è scomparso per sempre, ma erano ladri colti con le mani nella marmellata. Basta volerlo ma se la risposta è no perché poi come si fa a vendere l’oliaccio beh allora … andate tutti a festeggiare il 100° compleanno dell’extra vergine.
PERCHE’ MONOCULTIVAR IN ETICHETTA
Nel mondo crescono 1628 cultivar dell’Olea Europaea e ogni continente, nazione, regione ha le sue. Se in etichetta c’è scritto Picual è statisticamente certo che quell’olio provenga dall’Andalusia spagnola, dove se ne allevano 2,5 milioni di ettari. Se c’è scritto Taggiasca è ligure, se c’è scritto koroneiki è greco. Quindi il dichiarare in etichetta la cultivar con cui è fatto l’olio dà, se non altro, un’idea dell’origine del prodotto e consente una scelta più consapevole. Certo il trucchetto di vendere olio straniero con marchio italiano scricchiolerebbe ed è per questo che ci sono grandi resistenze a questa mia proposta. Ma ci arriveremo, ne sono sicuro.
PERCHE’ I POLIFENOLI  IN  ETICHETTA
Il valore dell’olio delle olive per troppo tempo è stato individuato solo nel fatto che questo condimento   fosse costituito da benefici grassi monoinsaturi per il 70-80%, quei grassi che aumentano il colesterolo HDL definito anche lo spazzino delle arterie. Invece il vero tesoro dell’olio delle olive sono i POLIFENOLI  potentissimi “farmaci” naturali che se assunti regolarmente in 200 mg/die allungano la vita e tagliano decisamente le manifestazione del cancro a tutti i livelli.Ma ci rendiamo conto di che “piccolo” particolare alimentare ci siamo dimenticati, ignorando di mettere i polifenoli dell’olio in etichetta ? E ci rendiamo conto che questo è stato fatto deliberatamente  per facilitare la vendita di oliacci, senza alcuna utilità alimentare e salutare ? Anzi, posso affermare per esperienza che, la legge punisce chi dichiara i polifenoli in etichetta per “concorrenza sleale”. Si avete letto bene. E’ chiaro che qualcosa va cambiato, anzi molto, siamo davvero stufi. Polifenoli in etichetta daranno il vero valore dell’olio e quindi del prezzo. Chi vorrà spendere meno lo potrà fare, sapendo che acquista un prodotto di minore qualità e chi vorrà l’eccellenza cercherà oli con 400 mg/kg di polifenoli totali in su.Il valore alto dei polifenoli totali è certezza di olive sane, lavorate con cura da frantoiani che hanno studiato le fermentazioni, con impianti all’avanguardia che costano come un appartamento al centro di Milano e dove niente è lasciato al caso, nemmeno una foglia di ulivo prende la strada sbagliata.
CONSUMARSI PREFRIBILMENTE PRIMA DEL…
Questa frase, con i polifenoli in etichetta avrebbe un senso, cosa che oggi non ha. Infatti la data che oggi segue la frase sopra è successiva di 18 mesi all’imbottigliamento dell’olio e non alla data di produzione. Quell’olio potrebbe essere stato prodotto 5 anni fa ed essere stato imbottigliato oggi che per ancora 18 mesi potrebbe essere consumato legalmente, legalmente si, ma sarebbe davvero una porcheria. Mi spiego: se quell’olio è povero di polifenoli (60-80 mg/kg) dopo 2-3 mesi potrebbe essere già rancido, quindi non più extra vergine, che per legge significa “senza difetti”,  e con scaro valore salutare, mentre uno che ne abbia 500 mg/kg resterà perfetto anche dopo 36 mesi e arà un’attività antiossidante ancora potentissima. Questo se da un lato obbligherebbe i produttori a fare sempre meglio, darebbe ancora una volta senso al prezzo. Pago realmente per quello che ho e che ho scelto liberamente.   
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Coraggio Europa  !
Gino Celletti  

sabato 5 febbraio 2011

L’INCURIA DEI GERMOPLASMI OLEICOLI ITALIANI

Qualcuno ha scritto che “gli uomini chiamano destino il bidone in cui accumulano gli errori della propria vita.” Certo è che da sempre gli uomini delocalizzano le proprie responsabilità sul fato o sul governo, specie quando piove.  Questo numero di VdG ve ne da conto riportando alla ribalta l’incuria in cui versa il nostro passato architettonico. Ma c’è molto di più di un muro romano che crolla o di un monumento decapitato, qui c’è la Natura che muore, perché non parla e non vota.Gli uomini non hanno ancora capito che la vita sulla terra, compresa quella della specie umana, è possibile solo grazie ai servizi forniti dai cosiddetti “ecosistemi“, che integrandosi tra loro, consentono la funzionalità delle biodiversità esistenti e che essa è tanto più elevata quanto più i germoplasmi originali vengono conservati. Tradotto in parole semplici, la nostra vita è come un orologio e se viene a mancare un rotella tra gli ingranaggi, il movimento si ferma. Al momento sono state censite 1628 cultivar dell’Olea Europaea L. (www.monocultivaroliveoil.com) ma non tutte vengono coltivate. Esistono invece tanti motivi per mantenere una elevata presenza delle biodiversità germoplasmatiche. La perdita di specie, sottospecie o cultivar  comporta infatti un danno inestimabile a carattere ecologico, economico, scientifico e culturale. L’agricoltura del nostro secolo. tesa all’efficienza produttiva, al controllo chimico dei parassiti, a preferire cultivar più produttive, ha provocato l’abbandono e la perdita di migliaia di varietà che non soddisfacevano a queste prerogative. Le coltivazioni intensive e superintensive dell’ulivo poi, attuate in Europa ed in altri stati emergenti, sono state da una parte utili a produrre olio a basso prezzo ma non sono riuscite a produrne uno più salutare. Hanno invece colonizzato, con poche cultivar, vastissimi territori, eliminandone altre autoctone, con il conseguente svilimento eco-ambientale. L’olivicoltura italiana ha tentato di salvaguardare il grandissimo patrimonio varietale, consapevole che molte varietà considerate minori, potranno essere rivalutate dai produttori e dai consumatori più attenti ed esigenti, ma senza la consapevolezza generale, questi sforzi, ancora una volta, saranno in balia del loro “destino”.Non si vuole capire che l’olivicoltura italiana, fatta da micro ambienti, per poter sopravvivere alla concorrenza degli oli di massa, non può far altro che puntare sull’olio tipico che produce e che è il binomio cultivar-ambiente a conferire all’olio peculiarità chimiche e organolettiche uniche.In breve sono gli oli monocultivar i soli a garantire il futuro della nostra olivicoltura e mi auguro che anch’essa non voglia dotarsi il suo personale “bidone”.
Gino Celletti

lunedì 17 gennaio 2011

MA BASTA CON L’ACIDITA’ DELL’OLIO !

Nel gennaio 2009 scrissi qui “L’Etichetta con il Burka”. Molti capirono l’imbroglio. Se in quell’articolo dissi cosa mancava, qui riassumo cosa pretendere in etichetta. Sento questo desiderio mentre c’è chi brinda al 50° compleanno dell’Extra Vergine frutto della legge 1407 del 1960. E allora parto proprio da qui. “Extra Vergine” significa che quell’olio ha al massimo 0,8% di acidità. A chi importa l’acidità dell’olio ? A nessuno, nessuno sa cosa vuol dire, dal punto di vista medico, salutare, commerciale, mangiare “Olio Extra Vergine” con quella acidità,  o “Olio di Oliva”, raffinato e miscelato, con acidità 1,0%, o “Olio di Sansa e di Oliva”, ottenuto con trielina o esano, con la stessa acidità. Le acidità sono uguali o quasi. E allora ? Il consumatore è stato depistato per 50 anni dalla legge 1407 del 1960,  che c’è da brindare oggi ?  E lo è stato ancor di più negli ultimi 20 anni dal Regolamento CE 2568/91, fatto per “valorizzare” un Extra Vergine purchè non avesse  libertà di parola. Il valore vero dell’Olio delle Olive, quello che fa bene, quello che fa la differenza tra l’olio degli  imbroglioni e l’olio dei produttori seri non è l’acidità, ma i POLIFENOLI TOTALI, che  guarda caso non sono previsti in etichetta dal CE 2568/91. Anzi, provate a metterceli e vedrete che multe vi fanno. I polifenoli invece dovrebbero essere scritti chiaramente e farli diventare il vero parametro di qualità, il vanto del produttore onesto e serio. Semplicemente i polifenoli, o antiossidanti, sono sostanze che allungano la vita delle cellule, che prevengono il cancro, che riducono l’infarto e mi fermo qui. Se i polifenoli sono superiori a 200 mg/kg, l’olio sarà ottimo. I polifenoli sono il corredo naturale dell’Olio delle Olive sane, non si possono aggiungere artificialmente, mentre l’acidità può essere aggiustata chimicamente, o fisicamente (o tutte e due). Insomma un olio che in etichetta abbia 400-500 mg/kg di polifenoli è paragonabile ad un grande Barolo, uno Champagne millesimato. L’ Italia è piena di quest’olio meraviglioso ma le leggi sull’etichettatura impediscono al consumatore di sapere chi lo produce. Farlo sapere sarebbe “concorrenza sleale“.  Tutto questo è più ridicolo, più vergognoso o più autolesionista ?  Tutti e tre. Chi oggi brinda alla legge di 50 anni fa, probabilmente brinda alle fortune che ha fatto con essa e dopo aver riempito per decenni le bottiglie con olio rettificato, non vede niente di meglio all’orizzonte che l’Extra Vergine da offrire al consumatore. Ma mai sentito parlare di OLIO MONOCULTIVAR ?
Qui i polifenoli ci sono eccome, non sono latitanti come nella legge 1407 del ‘60 o nel CE 2658/91.
Gino Celletti