sabato 5 febbraio 2011

L’INCURIA DEI GERMOPLASMI OLEICOLI ITALIANI

Qualcuno ha scritto che “gli uomini chiamano destino il bidone in cui accumulano gli errori della propria vita.” Certo è che da sempre gli uomini delocalizzano le proprie responsabilità sul fato o sul governo, specie quando piove.  Questo numero di VdG ve ne da conto riportando alla ribalta l’incuria in cui versa il nostro passato architettonico. Ma c’è molto di più di un muro romano che crolla o di un monumento decapitato, qui c’è la Natura che muore, perché non parla e non vota.Gli uomini non hanno ancora capito che la vita sulla terra, compresa quella della specie umana, è possibile solo grazie ai servizi forniti dai cosiddetti “ecosistemi“, che integrandosi tra loro, consentono la funzionalità delle biodiversità esistenti e che essa è tanto più elevata quanto più i germoplasmi originali vengono conservati. Tradotto in parole semplici, la nostra vita è come un orologio e se viene a mancare un rotella tra gli ingranaggi, il movimento si ferma. Al momento sono state censite 1628 cultivar dell’Olea Europaea L. (www.monocultivaroliveoil.com) ma non tutte vengono coltivate. Esistono invece tanti motivi per mantenere una elevata presenza delle biodiversità germoplasmatiche. La perdita di specie, sottospecie o cultivar  comporta infatti un danno inestimabile a carattere ecologico, economico, scientifico e culturale. L’agricoltura del nostro secolo. tesa all’efficienza produttiva, al controllo chimico dei parassiti, a preferire cultivar più produttive, ha provocato l’abbandono e la perdita di migliaia di varietà che non soddisfacevano a queste prerogative. Le coltivazioni intensive e superintensive dell’ulivo poi, attuate in Europa ed in altri stati emergenti, sono state da una parte utili a produrre olio a basso prezzo ma non sono riuscite a produrne uno più salutare. Hanno invece colonizzato, con poche cultivar, vastissimi territori, eliminandone altre autoctone, con il conseguente svilimento eco-ambientale. L’olivicoltura italiana ha tentato di salvaguardare il grandissimo patrimonio varietale, consapevole che molte varietà considerate minori, potranno essere rivalutate dai produttori e dai consumatori più attenti ed esigenti, ma senza la consapevolezza generale, questi sforzi, ancora una volta, saranno in balia del loro “destino”.Non si vuole capire che l’olivicoltura italiana, fatta da micro ambienti, per poter sopravvivere alla concorrenza degli oli di massa, non può far altro che puntare sull’olio tipico che produce e che è il binomio cultivar-ambiente a conferire all’olio peculiarità chimiche e organolettiche uniche.In breve sono gli oli monocultivar i soli a garantire il futuro della nostra olivicoltura e mi auguro che anch’essa non voglia dotarsi il suo personale “bidone”.
Gino Celletti